Nel 2007 Simone Veil, la grande dame della politica francese, ex presidente del Parlamento europeo, poi membro del Consiglio costituzionale, espresse un giudizio laconico su François Bayrou: “Bayrou è peggio di tutto”. Aggiungendo che era pronto a qualsiasi tradimento. Oggi, per grazia macroniana, François Bayrou è primo ministro. Finalmente! deve pensare l’interessato.
Promotore di un movimento centrista, che attualmente si chiama Modem, già candidato alla presidenza della Repubblica nel 2002, dove ottenne il 4° posto con il 6,8 per cento dei voti, candidato nuovamente nel 2007, dove questa volta arrivò al 3° posto con il 18,7 per cento dei voti – il suo picco di popolarità – riprovandoci nel 2012, dove scese al 5° posto con il 9,1 per cento dei voti, possiamo dire che ha fatto di tutto per crearsi un destino.
Nel 2017, infine, rinuncia a candidarsi per allearsi con Emmanuel Macron, e si dice che il suo ritiro abbia permesso l’elezione del giovane banchiere Macron alla presidenza, ritagliandosi così l’immagine di kingmaker. Molto spesso nella storia politica, i micropartiti minoritari, come quelli di centro, permettono l’incoronazione di candidati meglio posizionati di loro, e poi ne ricevono i dividendi.
Primo dividendo, è subito nominato da Macron vice primo ministro e ministro della Giustizia. Per sua sfortuna, un mese dopo è costretto a dimettersi, accusato dai tribunali di appropriazione indebita di fondi pubblici, poiché gli assistenti parlamentari del suo movimento al Parlamento europeo sono stati ampiamente utilizzati per far funzionare il suo partito in Francia, invece di lavorare per Bruxelles. Dopo una prima condanna e varie fasi in cui sono stati accertati i fatti e sanzionati unidici suoi collaboratori, il procedimento è ancora in corso, essendo il boss Bayrou riuscito a far ammettere ai tribunali che non esisteva alcuna prova che lui fosse a conoscenza. Intelligente, non c’è che dire! Un nuovo processo è pendente.
Come premio di consolazione, Macron gli offre nel 2020 la guida dell’Alto Commissariato per la Pianificazione, incaricato di consigliare lo Stato sulla politica economica a lungo termine. È un eufemismo dire che in quattro anni la produzione di note da parte di questa organizzazione parastatale è stata così scarsa e inascoltata che il Senato ha dovuto occuparsene seriamente con una commissione ad hoc.
Nel 2015 è entrato addirittura nella storia della letteratura, grazie a Michel Houellebecq. Nel suo romanzo di successo Sottomissione, in cui le forze repubblicane si uniscono per eleggere un presidente islamista per opporsi all’estrema destra, Houellebecq introduce nella narrazione un personaggio reale: Bayrou. Il presidente islamista lo ha infatti (già!) nominato primo ministro. Il ritratto non è certamente lusinghiero, la stupidità di Bayrou è la qualità che serve per adempiere alla funzione in questo particolare contesto. Non ci sottraiamo al piacere di riprodurre qui la citazione di houellebecquiana:
Ciò che è straordinario in Bayrou, ciò che lo rende insostituibile è che è assolutamente stupido, il suo progetto politico si è sempre limitato al suo desiderio di accedere con ogni mezzo alla magistratura suprema, come si suol dire; non ha mai avuto, e nemmeno finto, di avere la minima idea personale; a questo punto, è ancora abbastanza una rarità.
Fantascienza ovviamente. Ma come sempre, Houellebecq non è mai lontano dalla realtà.
Un ritratto non lontano anche da quello offerto dai Guignols de l’Info, spettacolo di satira su Canal+, dove il burattino Bayrou si chiama “Le Benêt”. Senza dubbio in allitterazione con le sue origini guascone del Béarn, dove è originario Bayrou, che è sindaco di Pau, città del sud-ovest della Francia, l’antica Navarra, detta dei Béarnais. Quindi i Benêt-Béarnais.
Oggi, dopo la “mediocre farsa” del procrastinare macroniano nella ricerca di un primo ministro, come la descrive un editoriale di Le Monde, altri parlano di un “cattivo vaudeville”, e dopo l’episodio Barnier a cui ha posto fine la censura del Parlamento dopo soli tre mesi, ecco infine Bayrou. Barnier proveniva dal partito di destra che ha perso gran parte delle elezioni legislative, scendendo a 47 deputati, proprio come Macron, Bayrou con Modem può contare solo su 36 deputati. Ma questo non conta, Macron nella sua ostinazione nel voler avere un suo rappresentante del governo attuale (inizialmente voleva addirittura nominare uno dei membri del suo partito), quindi largamente sconfessato dagli elettori lo scorso luglio, nomina alla fine l’alleato Bayrou che si è affrettato a dire, non appena entrato in carica, che lavorerà “in complementarità “con il Presidente. Quindi nella continuità macroniana. Questo è il teatro della politica. Questa cosa finirà male.
Tra Bayrou, noto per la sua ossessiva ricerca e accumulazione di incarichi rappresentativi, a livello sia locale sia nazionale, per poi “non far nulla”, per dirla con Simone Veil, e il presidente in via di estinzione che si compiace nel pantano senza fondo del suo narcisismo (patologico, come dice Alain Minc dice), non siamo molto rassicurati.
Bayrou, nel corso della sua lunghissima carriera politica, ha sempre coltivato l’arte di commentare la politica corrente utilizzando formule subliminali, dove se capiamo bene, descrive il profilo ideale del responsabile che deve salvare una situazione pericolosa, esattamente un autoritratto disismulato. Siamo così appena passati dal subliminale alla realtà. Mettere il subliminale alla prova della realtà è una grande sfida! E per buona misura, mantenendo un po’ di fiction storica. Macron, fin dalla sua prima elezione, si è proiettato come la figura di un re, andando oltre le contraddizioni del cortile politico, e Bayrou le Béarnais ama identificarsi con Enrico IV, l’amato re dei francesi, re di Francia e Navarra, anch’egli originario di Pau, il 13 dicembre, giorno della nomina di Bayrou a primo ministro, una felice coincidenza, che non ha mancato di sottolineare lo stesso giorno. Va detto che il professore agrégé di lettere Bayrou intrattiene da molto tempo uno stretto rapporto con Enrico IV, tanto da scrivere una biografia dell’amato re. Essendo riuscito Enrico IV a porre fine alle guerre di religione tra gli ugonotti (protestanti) del sud della Francia e i cattolici, proclamando nel 1598 il famoso editto di Nantes, unendo così i francesi, riconciliazione nazionale che il nostro primo ministro di fresca nomina ha messo al suo ordine del giorno. Il sempliciotto Béarnais sarebbe il nostro nuovo “buon re Enrico”, secondo la formula consacrata?
Possiamo sperare che riesca a smentire la sua reputazione, trasformando l’acqua tiepida della politica centrista, abituata a orientarsi con il vento, “con il dito bagnato” come si dice in francese, in una strategia di unione tra forze contraddittorie, che lui subito dichiara di voler tentare, sotto gli auspici del buon re Enrico, ma bisognerà passare dal leggendario “non fare nulla” a un’azione “himalayana”, come lui lo ha anche detto. Le metafore della montagna sono molto diffuse in Francia, dai Pirenei alle Alpi, ma bisogna comunque avere gli sherpa giusti e l’attrezzatura giusta. Le forze di sinistra, vincitrici grazie all’unione delle loro tre componenti alle ultime elezioni, non vogliono per il momento partecipare al suo governo, le forze di destra, perdenti ma che si comportano come se avessero vinto, aspettano di vedere, e gli estremisti. La destra, con i suoi undici milioni di elettori, mettendo ben in evidenza le sue “linee rosse” all’opinione pubblica, può sanzionare in ogni momento, in attesa delle prossime elezioni presidenziali. La suspense è completa.
Bayrou deve ora formare un governo, tra il caos politico creato da Macron, i calcoli di alcuni in vista delle prossime elezioni legislative, la distribuzione dei posti, pratica purtroppo ricorrente a prescindere dalla definizione di un progetto di governance, una fiera delle vanità generalizzata, una giungla del microcosmo. Riuscirà il nostro “peggio di tutto” a raggiungere un equilibrio sostenibile nel giro di pochi mesi? Niente è meno certo. Macron, brillante a livello internazionale, o ancora in cerca di brillare, come la recente apoteosi con le cerimonie a Notre-Dame, ha creato un clima di fine del suo regno a livello nazionale che è lungi dal favorire qualsiasi stabilità istituzionale. E ovviamente rifiuta di dimettersi. Il teatro politico francese offre oggi purtroppo, lo si dice senza gioia, uno spettacolo più di costernazione che di grandeur. È ora di uscire dal momento del peggio.
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