Ne so quanto voi che state ora leggendo. Ne so per quanto ho potuto leggere sui giornali e dal dossier di Giuliano Foschini, di Viola Giannoli e Fabio Tonacci su Longform di Repubblica dell’11 febbraio scorso e non mi do pace.
Non mi esprimo sulle accuse, che peraltro, dalle informazioni raccolte, paiono infondate o quanto meno eccessive, sovradimensionate. Ilaria Salis è un’attivista che ha ritenuto giusto contrastare i rigurgiti nazisti che dal 1997 fanno da sfondo al “Giorno dell’onore”, il ricordo dei tanti soldati ungheresi che militavano nelle SS uccisi dall’Armata russa nel febbraio del 1945. Migliaia ora sfilano e impongono la loro presenza, con il permesso delle autorità. Purtroppo in Ungheria, anche a causa della protezione del suo presidente, i gruppi neonazisti hanno libera circolazione e non vi è alcun dubbio che ciò costituisca, insieme alle misure di restrizione dei diritti introdotte da Orbàn, una grave minaccia democratica, in uno stato che di democratico ormai ha ben poco.
Che si debbano contrastare tali rigurgiti, che più di rigurgiti sono divenuti purtroppo una tonalità di fondo, e qui non ne siamo esenti, mi pare del tutto legittimo in ragione della lezione della Storia, della condanna risoluta dei regimi totalitari che trascinarono l’Europa nel massacro della seconda guerra mondiale, che misero in atto lo sterminio di milioni di ebrei, di oppositori, omosessuali e sgraditi alla fanatiche concezioni di purezza etnica. Allora, a seguito di tale condanna, si avviò la costruzione condivisa e dialogante delle basi democratiche della convivenza civile.
Dunque contrastare si deve. E abbiamo sotto gli occhi le manifestazioni di questi gruppi che sfilano compatti inneggiando al Fürer, che vestono emblemi di morte, che sono razzisti, sciovinisti, maschilisti: visi tetri e duri che esprimono violenza da tutti i pori. Certamente Ilaria Salis si è recata a Budapest per creare disturbo e non per dialogare con questi gruppi. Su come contrastare questa onda neonazista che sta percorrendo l’Europa possiamo avere idee diverse e la mia non sposa la violenza.
Ma quel che mi ha colpito in tutta questa vicenda è il sorriso di Ilaria Salis. Nelle foto che la ritraggono – e ho visionato tutte quelle disponibili in rete oltre ai giornali – davanti al tribunale, di fronte alla guardia che la tiene incatenata ai polsi e alle caviglie, anche lì, nell’aula del tribunale, dove è impossibile che fugga, Ilaria sorride sempre. Forse perché è uscita dal buco immondo in cui la tengono, ma potrebbe avere un’espressione dura, sprezzante e ne avrebbe tutte le ragioni. Eppure sorride. Sorride anche nelle foto che sono state fatte circolare dopo l’eppur assai cauta reazione del governo italiano. Di nuovo sorride, nonostante tutto.
Non vi è un’immensa e smisurata sproporzione tra quel che questa giovane donna rinchiusa, isolata da tutti, in condizioni di reclusione antigeniche e pericolose per la sua salute, pare minacciare e il fondamento del diritto che recita invece la proporzione della pena? O più banalmente, la realtà e l’evidenza delle cose?
Tra il suo sorriso e quelle catene che ricordano la tratta degli schiavi d’America o altri infami episodi, si erge una distanza abissale di senso e di giustizia.
Il potere quando mostra ferocia, perché questo è il termine appropriato, erode ogni legittimità del suo essere. E quel sorriso sembra ricordare la favola del bambino che di fronte a tutti svela che il re è nudo. Nudo e feroce.
L’articolo Il sorriso e la ferocia proviene da ytali..