In un quadro politico occupato saldamente dal centro destra, con l’opposizione divisa e col fiato corto, l’iniziativa del prossimo 18 gennaio dei cattolici democratici, organizzata da Graziano Del Rio con Ruffini e Prodi, è certamente un sasso nello stagno che potrebbe avere effetti positivi. Ma è sicuramente presto per dire come si svilupperà. Bisognerà, infatti, fare i conti con molte questioni, tra cui tre mi sembrano centrali.
La prima. Esiste uno spazio, non tanto culturale – quello sicuramente c’è – quanto politico elettorale per una operazione che, forse impropriamente, viene qualificata come “centrista” (…soprattutto se si pensa ad un partito)?
Vista la storia politica degli ultimi trent’anni, verrebbe da dire di no. Il confronto è ormai consolidato tra due coalizioni. Per quanto eterogenee (il centrodestra non meno del centrosinistra: è solo più capace a restare unito), sono le aggregazioni politiche ad assorbire l’elettorato. E i buoni successi di Tajani “centrista” sono tutti interni alla coalizione di destra.
Avrebbero lo stesso successo se fossero autonomi?
L’esperienza non esaltante di Renzi e Calenda sembra seguire lo stesso schema, a sinistra. Altrimenti non si spiega come mai un Pd, descritto come disastrato, continui a raccogliere buoni risultati elettorali…
Dunque, il movimento che prende avvio il 18 gennaio, promosso da autorevoli esponenti del Pd, non potrà che collocarsi dentro il centro sinistra. Pena l’irrilevanza.
Partito o corrente?
Dipenderà anche da come reagirà il Pd: il successo elettorale recente non risolve i problemi di prospettiva!
La seconda questione: richiamarsi (o lasciare che venga richiamata) l’identità cattolica appare anacronistico. Non solo sul piano teorico, ma anche su quello politico.
Il presunto fallimento del Pd (da dimostrare, in verità) non riguarda il progetto originario (ovvero la convivenza, oltre le identità, delle grandi culture riformiste in un unico contenitore-progetto). Semmai, il modo in cui questo progetto è stato realizzato (ce n’è per tutti e ben prima dell’arrivo di Schlein).
In altri termini, chi pensa di andare oltre il Pd, a che cosa pensa? Alla riedizione nostalgica della Margherita? E, per reazione, alla formazione di una “nuova” Quercia? O all’Ulivo (che pure fu il precursore del Pd)? O l’obiettivo resta ancora la fusione, finora irrisolta (ma più per gli ex, che per i nativi), magari più simile ai caotici democratici americani che ai compassati laburisti inglesi o tedeschi?
Se quest’ultima è l’idea dei convenuti a Milano, poco importa se siano cattolici o meno. Importa la loro piattaforma politica.
Infine, la terza questione, la più delicata: cosa può significare, oggi, essere cattolici in politica? Ormai da tempo la laicità in politica è un valore primario e i cattolici sono presenti in tutti gli schieramenti.
Ciò premesso, l’identificazione cattolico=moderato usata abitualmente è un non senso, un luogo comune…
Nella Chiesa si confrontano tesi contrastanti e quelle dei contestatori del Papa appaiono più reazionarie che moderate. D’altro canto, nelle posizioni di Papa Francesco (e delle Settimane sociali svoltesi a Trieste qualche mese fa, cui i presenti a Milano il 18 sembrano richiamarsi), c’è poco di moderato e molto di radicale e di controcorrente: un’idea di pace che va ben oltre il sostegno militare all’Ucraina e indica chiaramente le responsabilità dei terroristi di Hamas, ma anche quelle israeliane su Gaza; un’idea netta su migranti, accoglienza, integrazione; su capitalismo e finanza…
Come conciliare tutto ciò?
Auguriamoci che i promotori di Milano non vogliano inseguire irrealistiche prospettive di nuovi partiti o angusti spazi di corrente e che il sasso che verrà lanciato provochi cerchi ampi, capaci di innescare reazioni a catena e di favorire, a cominciare dal Pd, una tensione al rinnovamento e all’unità senza la quale lo stagno diventa facilmente palude.
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