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La sconfitta in Sardegna non è un colpo pesante solo alla figura di Meloni e alla sua leadership, ma alla costruzione stessa, non ancora solidificata, di un fronte di cui lei è la faccia e il simbolo. Un colpo così è una botta inferta a questo baraccone che sta in piedi grazie a chi ne è alla guida. Vediamo adesso che succede, vediamo fino a che punto la botta l’ha infragilito.
C’è poi il riverbero in casa leghista, dove la leadership di Salvini è a un punto di saturazione ma non si vede come e chi possa sostituirla né come possa essere cambiato il corso politico costruito sotto la sua leadership. La ritirata leghista nei suoi vecchi presidi è impedita dal tentativo stile sardo di prendersi tutto da parte dei FdI. Emblematico il caso della presidenza della Regione Veneto, che, anche dopo il terremoto sardo, è ancora “prenotata” dai FdI.
A sinistra è impensabile una coalizione che non sia guidata da Giuseppe Conte, perché esistenzialmente i 5s non possono essere il junior partner di un’alleanza che punti a Palazzo Chigi e – stile Ghino di Tacco – faranno sempre pesare la loro dote elettorale senza la quale il campo largo è inimmaginabile. Il campo largo è progetto grillino. Dopo di che il Partito democratico, Elly Schlein potranno pure acconciarsi a questa realtà dei fatti, pur di vincere, sapendo che una parte, forse non trascurabile, di elettori finirà tra i non votanti.
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