Gennaio è il mese più freddo del dopoguerra. I record sono -23,2 °C a Firenze, -19,4 °C a Brescia, -18,4 °C a Verona, -12 °C a Venezia, – 14,2 °C a Treviso, – 22 °C a Piacenza , – 11 °C a Ciampino, -15,8 °C a Perugia, – 10,4 °C a Foggia. Ma oltre a questo gennaio c’è chi ricorda il 1929 “l’anno del nevone” citato nel film Amarcord di Fellini; poi c’è da annotare il 1940-41 ritenuto il più freddo del secolo. Molto nevoso il 1946-47 che mise in crisi l’organizzazione per la ricostruzione postbellica e di nuovo record nel 1956, inverno nevosissimo: fiocchi fino a marzo e gli Appennini imbiancati fino a fine stagione.
A San Remo Rascel ricorda il gennaio più freddo del dopoguerra nel 1970 con Nevicava a Roma e nel 1990 Mia Martini canta La nevicata del 1956. Però il record della neve a Roma fu nel 1965 e a Palermo nel 1980.
Nonostante altre frustate di gelo e precipitazioni è la nevicata di quarant’anni fa a diventare quella memorabile. Perché colpì tutto il paese e perché eccezionale era l’Italia in quel periodo.
A gennaio 1985 la Val Padana fu sepolta da quasi un metro di neve, poi toccò a Roma. Così il Paese del sole finì sottozero e la nevicata del secolo (che ormai è diventata leggenda o cosa) cominciò a generare una ponderosa macchina del ricordo, diventando fonte di ispirazione per romanzi, opere teatrali, canzoni e opere fotografiche. Ma quella neve ha anche nascosto le difficoltà dell’Italia del tempo: corruzione, terrorismo, crisi economica e disoccupazione. Una storia che è anche metafora del tempo di adesso.
Del freddo e della neve del gennaio 1985 già allora si conosceva (quasi) tutto: aria fredda che scende dalla Russia, caldo in quota elevata al Polo Nord, e si avvia la specie di trottola che si mette in moto (scusate i termini volutamente poco scientifici) paralizzando con neve e ghiaccio per oltre due settimane tutta l’Italia (neve pur se non tantissima anche in Sicilia).
Una storia che molti ultra quarantenni ricordano molto bene e che viene ri-raccontata da Arnaldo Greco e Pasquale Palmieri, i due autori di La nevicata del secolo – L’Italia nel 1985 (Il Mulino). L’evento meteo è l’occasione perfetta per rievocare “i mitici anni Ottanta”, sintetizzati molto bene dalle istruzioni che Marcello dell’Utri – nella serie televisiva 1992, Sky 2015, ideata da Stefano Accorsi – dà nel filmato a un personaggio immaginario, Leonardo Notte, esperto di comunicazione:
Gli anni Ottanta sono uno stato mentale, possono tornare e durare per sempre, dipende solo da voi.
Cosa accadrebbe se si ripetessero nevicata e gelo ci vuole poco a capirlo: i centri motore del Paese, allora come oggi verrebbero paralizzati. Nel 1985 a Milano fecero uscire (inutilmente) anche qualche carro armato per spianare il mezzo metro di neve sulle strade, e nemmeno centinaia di reclute dell’esercito riuscirono a fare granché. I cronisti ricordano anzi come fecero effetto le violente critiche dal nord del paese su Roma paralizzata per giorni da pochi centimetri di neve. E il sarcastico aspro rimbalzo che si presentò quando, pochi giorni dopo ( a metà gennaio 1985) fu la Milano da bere che si bloccò, nonostante carri armati ed esercito.
Adesso il risaldamento globale potrebbe tenere distante la grande nevicata (la neve è diminuita del cinquanta per cento nella Pianura Padana rispetto al secolo scorso) che bloccò un’Italia avviata a un grande sviluppo tecnologico e incapace di accettare, come il mondo contadino aveva sempre fatto, che tutta quella bufera, come in passato, passasse.
Il bilancio del 17 dicembre – si legge – è drammatico. A Bologna è arrivato l’esercito. Pavia e Cremona sono paralizzate, così come Brescia. Vicenza è intrappolata nel fango. In provincia di Venezia i cacciatori si sono trasformati in spalatori. L’attenzione dei mezzi di informazione si è concentrata su Milano, che ormai da decenni si è accreditata come forza motrice dell’economia del paese.
Gli studenti sono invitati ad unirsi agli spalatori del Comune che alza bandiera bianca e ammette che la situazione fa paura. Crolla una parte della copertura del velodromo Vigorelli dopo 72 ore di neve che stremano la città ormai prigioniera del fango. La neve imbianca e anche rileva tutte l’inadeguatezza di un sistema produttivo che non può consolarsi osservando come in Europa nemmeno altri paesi abbiano saputo rispondere benissimo agli eventi meteorologici avversi che fanno schizzare in alto i prezzi degli alimenti, nonostante i controlli della Guardia di Finanza.
Mentre il gelo schiaffeggia i governanti e gli amministratori, tutti incapaci di fronte alle emergenze il giornalista Enzo Biagi immagina un tema scritto nel futuro di quei giorni e cita oltre alla neve i container che da lungo tempo ospitano i terremotati al sud e l’impossibilità di avere una risposta ad un binario della Stazione centrale sul destino di un treno. La satira di allora se la cava benissimo: Craxi viene descritto come uno che si allarma perché teme che le immagini crude della neve distolgano l’attenzione da lui stesso; Scalfaro, ministro degli Interni, chiarisce che se la gente sta a casa evita inutili problemi di ordine pubblico; e due preti dicono “A Roma nevica ogni morte di Papa, il Pontefice è preoccupato.”
Come adesso. Ma molto differente da adesso. Quell’Italia, quella di prima e dopo l’inverno del 1984/85 è quella che sta tentando di uscire dall’incubo del terrorismo, quella che fa esplodere l’industria del tempo libero e delle vacanze, quella che porta le televisioni di Berlusconi a diventare il grande sistema che cerca di mettere in un angolo lo strapotere della Rai:
che crisi – ricorderà Fabio Fazio, allora imitatore – quando il direttore generale ci segnalò che per la prima volta eravamo andati sotto i quattordici milioni di spettatori; adesso con mezzo milione si fanno salti di gioia.
È, come segnala il Censis, l’Italia del riflusso, quella dove sta cominciando il disimpegno politico, quella che sulla soglia del 1980, farà mettere in prima pagina la lettera di un maturo lettore dedicata al “morire d’amore”. Il privato per uscire dalla sfera pubblica deludente e allarmante? Anche.
Se prima c’erano i “favolosi anni Sessanta” e dopo ci sono stati i mitici “anni Ottanta” pieni di nostalgia e ricordi forse sarebbe il caso di domandarci se qualche decennio di questa parte di secolo verrà ricordato in qualche modo con un aggettivo, tra virgolette e pieno di rievocazioni. Temiamo che per il momento sia difficile. Soprattutto perché, è la certezza che viene dallo scavo tra cronaca e storia dei due autori, quegli anni non torneranno più. Davvero. Cosa ci sia stato è da scoprire leggendo. Noi regaliamo qui solo qualche riga tra le ultime pagine. Una specie di elenco telefonico che può far sognare i nostalgici o rievocare quei tempi a qualche distratto che non si era accorto di vivere nel paese della neve
La memoria del decennio può disorientarci. Sì anche perché possiamo trovarci di tutto: “Maradona o Platini il, il Calippo Fizz o le Big Babol, Wonder Woman o Mork, Claudio Cecchetto o Renzo Arbore, Raffaella Carrà o Loretta Goggi, Heather Parisi o Lorella Cuccarini, Claudio Baglioni o Edoardo Bennato, Nikka Costa o Madonna, Michael Jackson o Prince, i Queen o gli Europe, Jerry Calà o Lino Banfi, Craxi o De Mita, il reaganismo o la perestroika. Ritorno al futuro o Flashdance, Holly e Benji o Candy Candy, Anche i ricchi piangono o Dancin’Days, la Fiat Uno o il Piaggio Ciao, la Girella o il Tegolino, le giacche Fiorucci o le scarpe Timberland, la BMX o il cubo di Rubik, il Festival di Sanremo o il Festivalbar, Fantastico il Supertelegattone”. Chi eravamo?
Immagine di copertina: Milano sotto la coltre di neve, gennaio 1985
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