[MILANO]
Il 18 gennaio a Milano si è dunque costituita l’associazione Comunità democratica che, come ha spiegato il suo promotore Graziano Delrio, vuol far sentire la voce del mondo cattolico-democratico “dentro al Pd e anche fuori”. Una iniziativa che ha fatto discutere nelle settimane precedenti, anche per la partecipazione di Ernesto Maria Ruffini e di due padri nobili del Pd, come Romano Prodi e Pierluigi Castagnetti.
Per andare oltre la superficie dell’evento – ytali nasce proprio con questo scopo – è bene partire da uno sguardo sociologico sul mondo cattolico italiano. Si tratta certamente di una minoranza (il professore Luca Diotallevi, nel libro La Messa è sbiadita mostra che la Messa domenicale è frequentata dal quindici/venti per cento della popolazione) che tuttavia tiene insieme il nostro Paese. In che senso? Nel senso che a fronte di opinion maker (politici, giornalisti, ecc) che fomentano odio e divisione, il mondo cattolico crea legami sociali. Dalla semplice Messa domenicale alle associazioni storiche come Azione cattolica, Agesci, Fuci, Acli, Sant’Egidio, Cl , dalle migliaia di gruppi parrocchiali (gruppi approfondimento biblico, gruppi teatrali, corali, ecc) ai gruppi universitari/giovanili, dai gruppi per la Terza età alle associazioni di volontariato sociale (la Caritas è presente in tutte le ottomila parrocchie italiane) e sportivo, si tratta di realtà che creano legami comunitari sui territori ed evitano che l’Italia di disgreghi. Non esiste in Italia una realtà così capillarmente diffusa su tutto il territorio nazionale, capace di far uscire di casa almeno settimanalmente così tante persone per farle incontrare con altre persone, al fine di rinsaldare i legami comunitari.
Graziano Delrio, Romano Prodi e Pierluigi Castagnetti
Nell’opinione pubblica generale non c’è consapevolezza di tale realtà, ma nel mondo cattolico sì. A fianco di questo vastissimo mondo associativo esiste anche una vivace comunità della ricerca che, dalle università ai think tank, ha prodotto una elaborazione teorica in campo economico, sociologico e pedagogico, urbanistico, dello stato sociale, ecc. Il cattolicesimo italiano ha una forte autocoscienza del proprio ruolo nel Paese, autocoscienza che è esplosa alla 50esima edizione delle Settimane sociali dei cattolici italiani, tenutasi a Trieste ai primi di luglio del 2024. È lì che è accaduto qualcosa: i cattolici si sono stufati, anzi si stanno ribellando.
All’appuntamento di Milano la professoressa Elena Granata, urbanista del Politecnico di Milano e vicepresidente del Comitato organizzatore delle Settimane sociali, ha spiegato quanto si sta muovendo da allora. Nei decenni precedenti (sotto la Conferenza espiscopale italiana a guida Ruini), i cattolici si sono disimpegnati dalla politica rifugiandosi nel pre-politico, cioè appunto nell’associazionismo sociale e nel volontariato. Ma dopo la loro fuga dalla politica i cattolici italiani si ritrovano davanti agli occhi l’hate speech, il settarismo populista, la demonizzazione dell’avversario, la ricerca della divisione come metodo per mantenere il potere, con metà dei cittadini che nemmeno votano. L’opposto della ragione sociale del mondo cattolico. L’allontanamento, per quel che riguarda il mondo cattolico, ha riguardato tutti i partiti. È stato sintomatico che l’impegno diretto dei cattolici in questi anni sul terreno politico è avvenuto solo nelle realtà civiche, quindi soprattutto nelle piccole realtà territoriali, non nelle grandi città, realtà civiche di area soprattutto di centrosinistra. Come è stato per la neo presidente della Regione Umbria ed ex sindaca di Assisi, Stefania Proietti, intervenuta da remoto a Milano. Ebbene, Trieste ha detto basta a questo schema: “Il pre-politico – ha spiegato Granata – è morto, tutto è politica. L’idea che la politica è sporca e le anime belle fanno la Caritas, è finita. Tutto è politica e tutti sono chiamati alla politica”. In particolare Granata ha fatto un appello a donne e giovani, perché “senza di loro non c’è politica”. Non a caso i delegati inviati dalle diocesi a Trieste dovevano essere per almeno il trenta per cento giovani e per il trenta per cento donne.
Cosa è dunque accaduto a Milano, nella sala Biagi del Palazzo della Regione Lombardia, piena in tutti i suoi cinquecento posti? Il primo accadimento è stato rendere esplicita l’insoddisfazione verso la capacità del Pd e del centrosinistra in generale di rappresentare queste istanze comunitariste e “generativiste” (il concetto di “generativo” applicato a economia, urbanistica, sociologia, ecc è uno dei portati della ricerca a cui accennavo). Insoddisfazione non perché il Pd sia troppo di sinistra, bensì perché sia troppo poca cosa, o addirittura non sia. I tre densi interventi di Ruffini, Castagnetti e Prodi sono stati un “j’accuse” contro l’incapacità del Pd di “discutere”. “Senza discussione non c’è partecipazione”, ha insistito Prodi. Partecipazione è stato uno dei termini “ossessivamente” (così Granata) ripetuti dagli interventi in tutti i panel. Il fronte progressista, ha detto Ruffini, deve riuscire a far partecipare quel cinquanta per cento dei cittadini che non si fida più della politica e nemmeno vota più: “non servono nuovi partiti – ha detto – servono nuovi elettori”. Ma le persone votano se c’è partecipazione. Insoddisfazione per l’incapacità del Pd di discutere dei grandi sconvolgimenti che ci piombano addosso:
“Il mondo è sottosopra – ha detto un incisivo Castagnetti –e non c’è un luogo per discuterne. Nel 2022 è arrivata al governo dopo cento anni la destra; possiamo discuterne in un luogo politico in cui ci siano livelli di responsabilità?”.
Da questo punto di vista, ha insistito, come Pd “siamo rimasti sugli spalti”, “siamo rimasti con le mani in mano”. Le relazioni di Ruffini e Prodi, oltre alla crisi della partecipazione e della democrazia, hanno tematizzato anche le problematiche prettamente italiane su cui il fronte progressista non sta discutendo per costruire un progetto da proporre al Paese; dalla crisi industriale (“da 719 giorni assistiamo a un calo della produzione industriale”, ha sottolineato Prodi), all’inverno demografico che farà saltare il welfare senza rapidi interventi, dall’integrazione degli immigrati necessari al mondo del lavoro, al problema abitativo (centrale nel panel pomeridiano con diversi sindaci e amministratori locali e regionali), al sostegno alla famiglia (“ci sono forme nuove, perché i tempi sono cambiati, ma nel Pd abbiamo smesso di parlare di sostegno alla famiglia”, così Castagnetti): tutti problemi semplicemente ignorati dal governo Meloni.
Il secondo accadimento dell’incontro di Milano è stato quello di cominciare a ricostituire la rete delle realtà cattolico democratiche che agiscono nei diversi livelli, così da ricreare l’osmosi tra il “pre-politico e il politico”. “È cominciato un percorso” ha detto Delrio. E qui veniamo al punto che più ha appassionato nei giorni passati. Nascerà un nuovo partito? Per altro non dai tratti moderati, perché le proposte, ha osservato Delrio nelle conclusioni, sono “radicali” pur se portate avanti con un metodo moderato (diceva Martinazzoli che il moderatismo sta alla moderazione come l’impotenza alla castità). Tutti gli interventi, da quello iniziale di Emilio Del Bono, a quello finale di Delrio, passando per quelli di Castagnetti, Ruffini e Prodi, hanno escluso la nascita di un nuovo partito. Il fatto che Comunità democratica abbia rinunciato a varare un proprio giornale on line (scelta ipotizzata nei mesi scorsi) significa che al momento ha prevalso l’opzione prudente di Delrio.
Per ora, ha annunciato al termine Delrio, l’associazione organizzerà analoghi appuntamenti di confronto in altre regioni per tenere alto il dibattito. Ma voler riconnettere la rete del mondo cattolico implica che se il Pd manterrà l’attuale (inesistente) livello di dibattito interno, l’incapacità di una progettualità per il Paese, e lo schiacciamento sul presentismo, “l’opzione due” è nelle cose. Castagnetti ha citato Guido Bodrato: “un partito nasce non per volontà dei singoli, ma per volontà della storia”. Tra l’altro nei prossimi giorni il Pd dovrà decidere come votare sulla proposta di legge di iniziativa popolare della Cisl (in commissione Lavoro della Camera) sulla compartecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili dell’impresa, il cosiddetto modello tedesco. Finora della pdl si è impadronito il centrodestra che l’ha sostenuta, mentre il Pd ha presentato decine e decine di emendamenti. Di fatto contrastandola. Un rapporto esclusivo con la Cgil oppure anche un rapporto dialogico con la Cisl possono essere determinanti per “l’opzione due”.
Ho trovato efficace una battuta che mi ha detto, a fine convegno, un ex deputato della Margherita, Pierluigi Mantini (ma in sala ce ne erano decine con cui ho parlato, come Patrizia Toia, Silvia Costa, Enrico Farinone, Paolo Giaretta, Maria Pia Garavaglia, Giampiero Scanu, Stefano Lepri, Francesco Russo, Luigi Meduri, Angelo Rughetti, Antonio Rusconi, nonché Lorenzo Guerini, Simona Malpezzi, Annamaria Furlan e anche Enrico Borghi e Elena Boschi di Italia viva). “Il tema è centro-sinistra “con il trattino” o centrosinistra “senza trattino”; per anni ci siamo spesi per un centrosinistra senza trattino, perché c’era il bipolarismo di Berlusconi e del Partito delle libertà; forse oggi è meglio rimettere il trattino”. Per riportare a partecipare almeno parte di quel cinquanta allontanatosi dalla politica, è meglio o no un contenitore nuovo? O per citare un detto evangelico ripetuto a Milano “vino nuovo in otri nuove”?
Immagini tratte da Facebook: Roberta Osculatii, Mario Demuru Zidda, Roberto Omodei, Luca Civardi, Davide Casati
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